Al termine di questo lockdown ogni atleta si troverà a fare i conti con la sindrome detraining”. Non è il caso di disperare: gli atleti che si allenano da anni hanno un asso…nel cervello. La memoria muscolare. 

Il nostro corpo reagisce in maniera straordinaria agli adattamenti indotti dall’esercizio fisico. Si stima che nell’uomo una settimana di allenamento intenso programmato sia già sufficiente ad attivare un processo di adattamento del VO2max (Hickson, Boomze et al. 1977). 

Sfortunatamente, se gli adattamenti all’allenamento avvengono velocemente, ancora più rapidamente regrediscono una volta cessati gli stimoli allenanti. E’ così che ha inizio il fenomeno “detraining” che, in ambito sportivo, indica la perdita degli adattamenti fisiologici e prestativi in conseguenza di una riduzione – o cessazione – dell’attività fisica. 

Si verifica già a partire da 1-3 settimane a seguito di uno stop obbligato (es. infortunio), di una pausa o anche semplicemente di un periodo di attività più blanda.

E’ il caso di questa quarantena durante la quale, quasi tutti, siamo scesi a compromessi con minori volumi e intensità di allenamento.

Detraining: i cali più evidenti

Forza muscolare. A causa di una perdita di massa muscolare (sarcopenia), la sua regressione avviene all’incirca 2 volte più rapidamente rispetto al tempo necessario al suo sviluppo. Già dopo due settimane di inattività si evidenziano rilevanti cali di forza e di elasticità muscolare (1-10%).* La sarcopenia è in realtà un processo fisiologico che si presenta con l’avanzare dell’età: già a partire dai 30 anni si stima un decremento che varia dallo 0.5 all’1%. Fortunatamente la tendenza è reversibile, e quindi sovvertibile con l’esercizio fisico.  

 Resistenza. Il suo calo è legato a diversi fattori.

  • Minor efficienza del sistema cardiovascolare: riduzione della gittata cardiaca, che possiamo riscontrare facilmente nell’innalzamento della frequenza cardiaca a riposo e una minor capillarizzazione a livello periferico;
  • minor disponibilità di substrati energetici a livello muscolare: si riduce la capacità di stoccaggio e risintesi del glicogeno (che invece aumenta quando siamo allenati);
  • calo del volume e della quantità di mitocondri, “centraline energetiche” delle nostre cellule, con conseguente minor potenza del sistema aerobico nel produrre energia da grassi e zuccheri;
  • minor tolleranza all’accumulo di acido lattico, e quindi agli sforzi anaerobici lattacidi (un allungo o uno sprint a fine gara) dovuta alla riduzione della velocità di smaltimento e alla minor efficienza del muscolo di lavorare in acidosi.

Abbi fiducia nei tuoi…mitocondri

Il “contenuto mitocondriale” è stato utilizzato in passato da alcuni ricercatori come parametro per valutare sia il livello di fitness sia gli effetti del detraining. Infatti, ad un alto livello di condizione atletica corrisponde un aumento di mitocondri in termini di volume e quantità. Ciò determina nell’atleta una miglior capacità di contrazione muscolare e una miglior efficienza nel metabolismo energetico.
Secondo diversi studi**, in coloro che si allenano da meno di 6 mesi, il contenuto mitocondriale generato dall’allenamento tende a dissolversi in un arco di tempo di 4-8 settimane. Negli atleti che invece si allenano da tempo (6-20 anni) la regressione avviene in maniera molto più graduale: anche in seguito ad uno stop di 12 settimane il loro contenuto mitocondriale rimane almeno del 40-50% superiore rispetto ad un sedentario.

…e nella memoria muscolare

I fattori fisiologici dovuti al detraining (calo della forza, del VO2max etc.) hanno leggi che non possiamo modificare.

Esistono però alcuni aspetti tecnici derivanti dall’apprendimento motorio che rimangono “immagazzinati” nel cervello come schemi motori.

Un ex atleta fermo da anni sarà comunque più favorito nella sua disciplina rispetto a chi non l’ha mai praticata. Questo perchè le abilità tecnico-tattiche nell’eseguire un certo movimento, una volta apprese, vanno a formare la “memoria muscolare” (si parla di muscolo ma in realtà il fenomeno viene mediato a livello del sistema nervoso centrale).

Il cervello custodice quindi la capacità di reclutare più unità motorie, di coordinare le contrazioni dei vari muscoli e quindi di preservare il timing di attivazione muscolare, rendendo efficace ed efficiente il gesto motorio.

Oltre a ciò, un atleta con anni di pratica costante alle spalle possiede una maggior conoscenza di sé e una miglior percezione di fatica e recupero; fattori che gli permettono di recuperare la condizione molto più velocemente rispetto ad un neofita. 

In sintesi

Smettendo di allenarci perdiamo principalmente la forza muscolare e la resistenza sviluppata con il training. Ciò che invece non perdiamo sono gli schemi motori appresi durante gli allenamenti. Questo ci permette, alla ripresa, di sfruttare in maniera più efficiente la massa muscolare, reclutando fin da subito il maggior numero di unità motorie in un lasso di tempo inferiore rispetto a chi si è allenato per poco tempo o è un principiante.

Riparti quindi da una buona base di lavori sulla forza e sulla componente aerobica della performance. Anche se hai smesso di allenarti in queste 8 settimane, non partirai da zero.

Continua a seguirci. Nel prossimo articolo: “Retraining. Consigli per ripartire”.

Bibliografia:

*Lee, I-Min et al. (2012) Effect of physical inactivity on major non-communicable diseases worldwide: an analysis of burden of disease and life expectancy. The Lancet, Vol. 380 , Issue 9838 , pp219–229.

**Noakes T., Lore of running. 4th edition. Human Kinetics, 2003.